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ellies_92's review against another edition
challenging
dark
informative
reflective
slow-paced
2.75
Sono contenta di averlo letto ma non lo consiglierei.
Per la prima volta ho capito cosa vuol dire rompere il patto autobiografico.
Jack London parte bene, i racconti sulla sua infanzia e adolescenza sono intriganti, avventurosi, raccontati bene e riesce a trasportare il lettore nel periodo a cavallo tra il XIX e XX secolo. Il suo è un mondo libero, in cui Jack non ha paura di esplorare e vivere tante vite diverse pur di cercare il proprio posto nel mondo. Facciamo fin da subito la conoscenza con "John Barleycorn" personificazione dell'alcool che lo accompagnerà lungo il corso di tutta la vita.
Però poi Jack London diventa famoso e lì per me iniziano i problemi: intanto London continua a sostenere di non soffrire di dipendenza fisica dall'alcool, che questo tipo di droga funziona in maniera diversa dalle altre (!?) , etc... Lo stesso London che nei capitoli precedenti ammette che per un periodo di lunghezza non specificata (sicuramente più di qualche mese, magari addirittura anni) beveva cosi tanto che a mezzogiorno aveva gia 4/5 drink in corpo, e non birre badate bene, ma Scotch, whisky, e compagnia bella.
Eppure vorrebbe farci credere di aver smesso di bere all'improvviso durante un giro in barca di 148 giorni in cui di punto in bianco non avrebbe più toccato alcol (sebbene il capitano ne avesse!).
Una persona che beve una decina di superalcolici al giorno e, per sua stessa ammissione, non è quasi mai sobria per mesi interi, come si può credere che possa mai smettere di punto in bianco di bere senza crisi d'astinenza e tutti gli effetti fisici correlati?
È qui che London mi ha persa, già faticavo a seguire i capitoli dove mostrava la logica bianca - e vabbè è comprensibile che siano astrusi - ma in un memoir una bugia così latente mi rompe il patto autobiografico e non gli credo più.
Viene anche da chiedersi perché mai abbia voluto scrivere un Memoir sul suo alcolismo se poi non vuole mostrare la parte peggiore della dipendenza, sostenendo anche di non essere un ubriacone, di reggere benissimo, che alle cene era sempre lucido, etc. Eh no, caro London: complimenti per aver scritto della tua esperienza in un momento storico in cui era difficile parlarne, ma non credo che dire mezze verità abbia giocato a tuo favore. Ok mantenere la dignità e non volersi mostrare al proprio peggio, ma allora non scriverlo nemmeno un memoir, o ammetti i tuoi limiti senza entrare nei dettagli. Ma glissare su una cosa così è controproducente può perfino risultare pericoloso.
Infine, questo libro è di poche pagine ma mi è sembrato infinito, sebbene mi abbia preso non è stato scorrevolissimo per qualche strana ragione.
Per la prima volta ho capito cosa vuol dire rompere il patto autobiografico.
Jack London parte bene, i racconti sulla sua infanzia e adolescenza sono intriganti, avventurosi, raccontati bene e riesce a trasportare il lettore nel periodo a cavallo tra il XIX e XX secolo. Il suo è un mondo libero, in cui Jack non ha paura di esplorare e vivere tante vite diverse pur di cercare il proprio posto nel mondo. Facciamo fin da subito la conoscenza con "John Barleycorn" personificazione dell'alcool che lo accompagnerà lungo il corso di tutta la vita.
Però poi Jack London diventa famoso e lì per me iniziano i problemi:
Eppure vorrebbe farci credere di aver smesso di bere all'improvviso durante un giro in barca di 148 giorni in cui di punto in bianco non avrebbe più toccato alcol (sebbene il capitano ne avesse!).
Una persona che beve una decina di superalcolici al giorno e, per sua stessa ammissione, non è quasi mai sobria per mesi interi, come si può credere che possa mai smettere di punto in bianco di bere senza crisi d'astinenza e tutti gli effetti fisici correlati?
È qui che London mi ha persa, già faticavo a seguire i capitoli dove mostrava la logica bianca - e vabbè è comprensibile che siano astrusi - ma in un memoir una bugia così latente mi rompe il patto autobiografico e non gli credo più.
Viene anche da chiedersi perché mai abbia voluto scrivere un Memoir sul suo alcolismo se poi non vuole mostrare la parte peggiore della dipendenza, sostenendo anche di non essere un ubriacone, di reggere benissimo, che alle cene era sempre lucido, etc. Eh no, caro London: complimenti per aver scritto della tua esperienza in un momento storico in cui era difficile parlarne, ma non credo che dire mezze verità abbia giocato a tuo favore. Ok mantenere la dignità e non volersi mostrare al proprio peggio, ma allora non scriverlo nemmeno un memoir, o ammetti i tuoi limiti senza entrare nei dettagli. Ma glissare su una cosa così è controproducente può perfino risultare pericoloso.
Infine, questo libro è di poche pagine ma mi è sembrato infinito, sebbene mi abbia preso non è stato scorrevolissimo per qualche strana ragione.
Graphic: Alcoholism and Alcohol
Moderate: Sexism