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A review by blackjessamine
Purity by Любовь Сумм, Джонатан Франзен, Леонид Мотылев, Jonathan Franzen
2.0
È strano, un paragone azzardato, un paragone inesistente, o forse solo un'ossessione, ma ripensando a questo romanzo mi viene in mente il racconto "I costruttori" di Richard Yates. E mi viene un po' da ridere, perché Yates non ha nulla a che fare con Franzen, e "Purity" non ha nemmeno una briciola della carica emotiva e della limpidezza de "I costruttori", ma comunque non posso fare a meno di pensarci. Perché Yates ci ricorda come una storia abbia sempre bisogno di una costruzione, ma ci ricorda anche che servono delle fessure da cui far filtrare la luce. E in questo io sono terribilmente egoista, ho capito qual è la luce che cerco io nella letteratura, e poco m'importa se ho frainteso Yates. E ho capito anche che le belle costruzioni mi interessano fino ad un certo punto, le cattedrali (sì, ora potrete pensare che la mia idea di letteratura americana sia terribilmente semplicistica e limitata, che io sappia solamente tracciare dei triangoli sghimbesci unendo l'autore di cui voglio parlare a Yates per poi arrivare a Carver) mi interessano solo in quanto strutture in grado di sostenere la luce (sì, sostenere, perché la luce di cui parlo ha un peso quasi insostenibile).
Ecco, "Purity" è una costruzione ingegnosa, sicuramente studiata nei minimi dettagli, pensata e progettata con una cura degna di nota, ma se io penso ad una cattedrale, "Purity" non è altro che il plastico asettico e fine a sé stesso collocato nella prima sala di un museo. Un plastico estremamente accurato e dettagliato, un piccolo capolavoro, nel suo genere, ma pur sempre una struttura vuota, impegnata a far bella mostra delle proprie capacità di replicare qualcosa d'altro senza però saper coglierne l'essenza.
C'è moltissimo, in "Purity": ci sono storie di famiglia, di crescita e di accettazione; ci sono approfondimenti storici e riflessioni sulla teleologia del giornalismo; ci sono risvolti thriller e altri di puro memoir. E va bene, di fondo non c'è nulla di male in ciò. Il problema è che tutti questi elementi sono artificiosi, terribilmente artificiosi: i personaggi si muovono in maniera macchinosa, esaltata, tanto che certe scene mi sono parse francamente grottesche. Sia chiaro, non ho proprio nulla contro il grottesco, ma se un libro non ha la minima intenzione di apparire tale, eppure suscita questa impressione, allora qualcosa dev'essere andato storto. Non ho nemmeno nulla contro i personaggi un po' particolari e sopra le righe, né contro le storie vagamente surreali e intricate, ma in "Purity" si raggiunge un livello che non riesco proprio a digerire.
In "Purity" si sente tantissimo la mano pesante dell'autore, si sente la macchinosità con cui le cose capitano e gli eventi si intrecciano, e quando un personaggio è sopra le righe solo per stupire il lettore e fargli esclamare un "oooh, ma che cosa particolare ha scritto Franzen!" io perdo interesse. Tanto più che si tratta di originalità solo ostentata, vuota, di facciata: i personaggi sono strani ma irrealistici, le vicende sono complesse e assurde ma terribilmente prevedibili, e arrivati a metà si ha la sgradevole sensazione di aver capito benissimo dove Franzen voglia andare a parare, e come apparirà il disegno complessivo una volta tirati tutti i fili. In particolare l'ultimo capitolo è stato una discesa nei clichè più abusati e nel finale più scontato, dove ogni battuta è esattamente quella che il lettore avrebbe immaginato, dove anche la pioggia e i cani che mangiano limoni contribuiscono ad un nauseante senso di delusione.
"Purity" è un complicato viaggio in mezzo a uomini ossessionati dalla purezza, donne che impazziscono alla sola vista di un uomo dal fascino oltreumano, madri psicotiche, padri invisibili, orgasmi solo tre volte al mese, ragazze avvolte in carta da macellaio, uomini con una fissazione patologica per il cunnilingus e le quindicenni, la Stasi, crisi nevrotiche, tori di peluche dall'accento belga, personaggi schizofrenici, stomaci adatti a film splatter e un sottile turbamento psicologico che sembra accompagnare ogni singolo personaggio, anche il più secondario. Mi verrebbe da pensare che una buona dose di psicoterapia ci avrebbe risparmiato questo romanzo, ma no, non è nemmeno questo, perché pare che a Franzen faccia solo piacere mettere in campo personaggi con evidenti problemi psicologici (in alcuni casi mi verrebbe proprio da dire psichiatrici) senza però che questo abbia nessuna ripercussione sulla storia, senza che a nessuno venga in mente di riconoscere questi problemi e agire di conseguenza.
Mi restano quindi una copertina che mi affascina ad ogni sguardo, la prima metà del libro letta a fatica fra una pausa e l'altra al lavoro e fra un esame e l'altro; mi resta la seconda metà letta d'un fiato su una panchina rovente nel cuore di Milano grazie allo sciopero delle ferrovie, in una giornata che nonostante la delusione letteraria ha saputo rimettermi in pace con la mia vita. Più che le sensazioni suscitate dal libro, mi restano le tante emozioni che ho vissuno nei venti giorni che ho impiegato per leggerlo, e che ho intrecciato così assurdamente alle vicende dei protagonisti che un po' mi viene da ridere, perché no, "Purity" non mi è piaciuto, ma sì, va tutto così bene.
Ecco, "Purity" è una costruzione ingegnosa, sicuramente studiata nei minimi dettagli, pensata e progettata con una cura degna di nota, ma se io penso ad una cattedrale, "Purity" non è altro che il plastico asettico e fine a sé stesso collocato nella prima sala di un museo. Un plastico estremamente accurato e dettagliato, un piccolo capolavoro, nel suo genere, ma pur sempre una struttura vuota, impegnata a far bella mostra delle proprie capacità di replicare qualcosa d'altro senza però saper coglierne l'essenza.
C'è moltissimo, in "Purity": ci sono storie di famiglia, di crescita e di accettazione; ci sono approfondimenti storici e riflessioni sulla teleologia del giornalismo; ci sono risvolti thriller e altri di puro memoir. E va bene, di fondo non c'è nulla di male in ciò. Il problema è che tutti questi elementi sono artificiosi, terribilmente artificiosi: i personaggi si muovono in maniera macchinosa, esaltata, tanto che certe scene mi sono parse francamente grottesche. Sia chiaro, non ho proprio nulla contro il grottesco, ma se un libro non ha la minima intenzione di apparire tale, eppure suscita questa impressione, allora qualcosa dev'essere andato storto. Non ho nemmeno nulla contro i personaggi un po' particolari e sopra le righe, né contro le storie vagamente surreali e intricate, ma in "Purity" si raggiunge un livello che non riesco proprio a digerire.
In "Purity" si sente tantissimo la mano pesante dell'autore, si sente la macchinosità con cui le cose capitano e gli eventi si intrecciano, e quando un personaggio è sopra le righe solo per stupire il lettore e fargli esclamare un "oooh, ma che cosa particolare ha scritto Franzen!" io perdo interesse. Tanto più che si tratta di originalità solo ostentata, vuota, di facciata: i personaggi sono strani ma irrealistici, le vicende sono complesse e assurde ma terribilmente prevedibili, e arrivati a metà si ha la sgradevole sensazione di aver capito benissimo dove Franzen voglia andare a parare, e come apparirà il disegno complessivo una volta tirati tutti i fili. In particolare l'ultimo capitolo è stato una discesa nei clichè più abusati e nel finale più scontato, dove ogni battuta è esattamente quella che il lettore avrebbe immaginato, dove anche la pioggia e i cani che mangiano limoni contribuiscono ad un nauseante senso di delusione.
"Purity" è un complicato viaggio in mezzo a uomini ossessionati dalla purezza, donne che impazziscono alla sola vista di un uomo dal fascino oltreumano, madri psicotiche, padri invisibili, orgasmi solo tre volte al mese, ragazze avvolte in carta da macellaio, uomini con una fissazione patologica per il cunnilingus e le quindicenni, la Stasi, crisi nevrotiche, tori di peluche dall'accento belga, personaggi schizofrenici, stomaci adatti a film splatter e un sottile turbamento psicologico che sembra accompagnare ogni singolo personaggio, anche il più secondario. Mi verrebbe da pensare che una buona dose di psicoterapia ci avrebbe risparmiato questo romanzo, ma no, non è nemmeno questo, perché pare che a Franzen faccia solo piacere mettere in campo personaggi con evidenti problemi psicologici (in alcuni casi mi verrebbe proprio da dire psichiatrici) senza però che questo abbia nessuna ripercussione sulla storia, senza che a nessuno venga in mente di riconoscere questi problemi e agire di conseguenza.
Mi restano quindi una copertina che mi affascina ad ogni sguardo, la prima metà del libro letta a fatica fra una pausa e l'altra al lavoro e fra un esame e l'altro; mi resta la seconda metà letta d'un fiato su una panchina rovente nel cuore di Milano grazie allo sciopero delle ferrovie, in una giornata che nonostante la delusione letteraria ha saputo rimettermi in pace con la mia vita. Più che le sensazioni suscitate dal libro, mi restano le tante emozioni che ho vissuno nei venti giorni che ho impiegato per leggerlo, e che ho intrecciato così assurdamente alle vicende dei protagonisti che un po' mi viene da ridere, perché no, "Purity" non mi è piaciuto, ma sì, va tutto così bene.