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A review by chiara_calime
Sapiens: A Brief History of Humankind by Yuval Noah Harari
1.0
Questo è il secondo libro di Harari che leggo, dopo "21 lezioni per il XXI secolo" e mi dispiace dire che anche in questo che da molti è considerato il suo miglior libro riscontro gli stessi pregi e gli stessi difetti.
È innegabile che Harari scriva davvero molto bene, riesce a mantenere sempre alta l'attenzione e a circuire il lettore nella sua visione del mondo. Il libro scorre via facilmente e anche concetti complessi sembrano semplici.
Da qui però emerge il grandissimo difetto: Harari semplifica troppo concetti che evidentemente non padroneggia del tutto, piegandoli al suo personale scopo.
Il primo capitolo è bellissimo, l'autore offre una panoramica della primissima storia della nostra specie sulla Terra, perdendosi certo in lirismi poetici, ma con grande suggestione. Eppure già qui, a chi ha un minimo di background scientifico inizia a suonare un campanello: le fonti? Sono pochissime, non tutte sono effettivamente articoli scientifici e se si va a leggere più approfonditamente le conclusioni che Harari ne trae sono spesso avventate. Questo si fa ancora più evidente dalla seconda parte in poi, dove Harari asserisce che la rivoluzione agricola sia la cosa peggiore mai capitata, citando pochissime fonti, con frasi categoriche che hanno niente di scientifico e tutto di personalissima opinione, ma che lui cerca di venderci come se effettivamente fossero verità assolute. È così e basta.
È evidente che non sa nulla di biologia, di evoluzione, di ecologia, per non parlare di quando nel finale parla di biotecnologie e di scienze fisiche e ingegneristiche, però ha deciso che sono delle cose orribili, che l'uomo viveva felice (anche qui, dedurre la psicologia di un uomo di 500mila anni fa da cosa?) quando era un cacciatore-raccoglitore e che ora siamo tutti miserabili per colpa del progresso tecnologico.
La cosa che mi ha infastidito non è tanto la sua teoria che è rispettabilissima, ma la pretesa di scientificità di cui la ammanta, presentandola come la verità assoluta. Alla fine il libro smette molto presto di essere interessante per diventare solo fastidioso.
È innegabile che Harari scriva davvero molto bene, riesce a mantenere sempre alta l'attenzione e a circuire il lettore nella sua visione del mondo. Il libro scorre via facilmente e anche concetti complessi sembrano semplici.
Da qui però emerge il grandissimo difetto: Harari semplifica troppo concetti che evidentemente non padroneggia del tutto, piegandoli al suo personale scopo.
Il primo capitolo è bellissimo, l'autore offre una panoramica della primissima storia della nostra specie sulla Terra, perdendosi certo in lirismi poetici, ma con grande suggestione. Eppure già qui, a chi ha un minimo di background scientifico inizia a suonare un campanello: le fonti? Sono pochissime, non tutte sono effettivamente articoli scientifici e se si va a leggere più approfonditamente le conclusioni che Harari ne trae sono spesso avventate. Questo si fa ancora più evidente dalla seconda parte in poi, dove Harari asserisce che la rivoluzione agricola sia la cosa peggiore mai capitata, citando pochissime fonti, con frasi categoriche che hanno niente di scientifico e tutto di personalissima opinione, ma che lui cerca di venderci come se effettivamente fossero verità assolute. È così e basta.
È evidente che non sa nulla di biologia, di evoluzione, di ecologia, per non parlare di quando nel finale parla di biotecnologie e di scienze fisiche e ingegneristiche, però ha deciso che sono delle cose orribili, che l'uomo viveva felice (anche qui, dedurre la psicologia di un uomo di 500mila anni fa da cosa?) quando era un cacciatore-raccoglitore e che ora siamo tutti miserabili per colpa del progresso tecnologico.
La cosa che mi ha infastidito non è tanto la sua teoria che è rispettabilissima, ma la pretesa di scientificità di cui la ammanta, presentandola come la verità assoluta. Alla fine il libro smette molto presto di essere interessante per diventare solo fastidioso.